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Romanzo scritto da Giuseppe Tomasi di Lampedusa (ovvero Giuseppe Tomasi principe di Lampedusa) fra il 1954 e il 1957, viene pubblicato un anno dopo la morte dell’autore. Nel 1959 vince il premio Strega e diventa di fatto il primo best seller italiano con oltre 250.000 copie vendute in otto mesi.

Il romanzo è ispirato dalle vicende della famiglia dell’autore, in particolare dal bisnonno il principe Giulio Fabrizio Tomasi di Lampedusa.
La storia si colloca in Sicilia fra il 1860 e il 1910, proprio durante la spedizione dei Mille di Garibaldi che causa la caduta dei Borboni e l’annessione della Sicilia all’unità d’Italia.

Il protagonista del libro è il nobile don Fabrizio Corbera principe di Salina, il Gattopardo appunto, chiamato così per lo stemma che ne rappresenta la casata nobiliare.

Don Fabrizio è un uomo colto, impegnato negli studi di astronomia e nella caccia, vive con i suoi sei figli, la moglie Maria Stella e il nipote Tancredi Falconieri che ha sempre considerato il suo successore ideale.

La stirpe dei Salina è in declino, come tutta la nobiltà siciliana. Si sta affermando un nuovo ceto sociale, quello dei borghesi affamati di potere e di terre.
Don Fabrizio è consapevole di questo cambiamento sociale, sa che i garibaldini scalzeranno la nobiltà ma non si oppone a questi cambiamenti.

Tancredi però non è come lui, ma scaltro e squattrinato, e informa lo zio della sua intenzione di unirsi ai Mille di Garibaldi, pronunciando la frase storica “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”.

Don Fabrizio non si oppone, anzi, è sicuro che il nipote saprà sfruttare questi nuovi moti per allacciare rapporti con i nuovi poteri che verranno. 

La Sicilia è abituata da secoli alle dominazioni straniere e i siciliani non credono ormai a nessun vero stravolgimento.

Come ogni anno i Salina trascorrono l’estate a Donnafugata, dove questa volta Don Fabrizio scopre che è stato eletto sindaco don Calogero Sedara, un contadino arricchito simbolo proprio della nuova borghesia che avanza.
 
Tancredi, nonostante avesse manifestato interesse per Concetta, una delle figli di Don Fabrizio, si innamora e sposa Angelica, figlia di Don Calogero.
Grazie ad Angelica, e al suo denaro, Tancredi potrà puntare alla carriera politica che tanto desidera.

Don Fabrizio, nonostante questi stravolgimenti, è ancora legato ai valori tradizionali della nobiltà e arriva a rinunciare ad un posto da senatore che gli viene offerto, indicando al suo posto Don Calogero.

Durante un gran ballo, in casa di nobili di Palermo, però è evidente la resa della vecchia classe sociale rappresentata dai nobili al nuovo mondo che sta avanzando.

Se un tempo Don Fabrizio si sarebbe opposto alle nozze oggi arriva a benedirle e il ballo segna l’entrata nell’antica nobiltà di Angelica, simbolo dell’ascesa dei nuovi ricchi.

Don Fabrizio morirà nel 1883 in una camera d’albero di ritorno da un viaggio a Napoli, mentre Tancredi nel frattempo è diventato deputato.

Il romanzo termina con una ultima scena ambientata nel1910 in cui le figlie di Don Fabrizio, rimaste sole e anziane, dilapidano gli ultimi rimasugli del patrimonio della stirpe, collezionando false reliquie religiose che un giorno finiranno nei rifiuti.

Il romanzo dunque finisce segnando la fine di un’epoca.

«Noi fummo i Gattopardi, i Leoni; quelli che ci sostituiranno saranno gli sciacalletti, le iene; e tutti quanti Gattopardi, sciacalli e pecore continueremo a crederci il sale della terra.»